B.I.G. Bjarke Ingels
Group:
I B.I.G. (acronimo di
Bjarke Ingels Group) sono un collettivo di architetti, designer, costruttori e
teorici riuniti intorno alla figura di Bjarke Ingels, giovane architetto
danese, cresciuto professionalmente, dal 1998 al 2001, nella sede di Rotterdam
dello studio OMA (Office of Metropolitan Architecture) di Rem Koolhaas.
Il team inaugura la
sua prima sede a Copenhagen nel 2006, nel 2009 il fondatore del gruppo insieme
ad altri due desiners scandinavi da vita allo studio di design KiBiSi nato
dalla crasi delle rispettive tre compagnie: Kilo Design (Ki), BIG architects (Bi)
and Skibsted Ideation (Si).
Dall’inizio del 2010, poi, il gruppo B.I.G. apre un’ulteriore
sede a New York.
Conosciuto per i suoi programmi
innovativi ed ambiziosi, molti dei suoi edifici superano le usuali convenzioni
tipiche della progettazione contemporanea per affrontare i temi in modo
assolutamente personale coprendo un ampio spettro di scelte formali, dal fiocco
di neve alla catena montuosa. Nelle sue operazioni lo studio opta,
generalmente, per interventi a grande scala ritenendo tale scelta come la più
idonea per risolvere le problematiche tipiche legate allo sviluppo urbano delle
metropoli mondiali (sprawl urbano,
crisi ecologica, rivitalizzazione dei tessuti esistenti e di quelli di nuova
progettazione, esclusione sociale).
Il team nel suo processo creativo fonde i principi dello
sviluppo sostenibile con approcci ed idee derivati dalla sociologia e dalla
psicologia urbana, strutturando tale sistema in una griglia procedurale in cui
la componente informatica segue una logica step
by step in cui l’obiettivo è ricercare la migliore soluzione ai problemi o
vincoli derivanti dalle logiche insediative della commessa stessa.
Tra i lavori realizzati più noti del gruppo: la risistemazione
di alcune zone del porto di Copenhagen, tre progetti di housing per il
quartiere Ørestad nella periferia sud della capitale danese, il padiglione
Danese per l’Expo di Shangai del 2010 e il “Danish Maritime Museum” a Helsingør
(Dk) del 2013.
La filosofia del gruppo
Nel 2009 the
“Architectural Review” ha scritto che Ingels insieme al suo gruppo “has abandoned 20th-century Danish modernism
to explore the more fertile world of bigness and baroque eccentricity”. Le idee
del team sono una sorta di ibrido tra l’impostazione di Rem Koolhaas, in cui la
scarsa grazia del grande edificio è trasformata in bellezza e in landscape
urbano attraverso l’uso della curvatura e della piega, e l’approccio alle idee
di paesaggio, democrazia e assonanza-metafora tipico invece dei designers
nord-europei, forse il più influente di tutti, lo studio Snohetta di Oslo.
Anche se a volte la
retorica di B.I.G. può risultare chiassosa, ironica e certamente poco ortodossa
l’ossatura teorica è chiara e densa di temi invece molto seri che vanno
dall’allarme per il surriscaldamento globale, agli intrinseci aspetti della
vita delle comunità urbane, a quella che loro stessi definiscono l’architettura
nell’età post-petrolifera fino alla rivitalizzazione delle città.
Molti dei progetti di
BIG hanno tratti che ricordano i lavori di Escher, con le sue impossibili
prospettive e i suoi paradossi geometrici, sembrano godere della medesima
fascinazione della striscia di Moebius, riescono così a instillare nei loro
lavori un elemento di improbabilità e indeterminatezza spiazzante. Da ciò
deriva l’impossibilità di gestire il processo progettuale, dall’ideazione fino
alla realizzazione e messa a regime dell’edificio, in assenza di un ambiente
virtuale in cui sperimentare l’oggetto architettonico in tutte le sue
declinazioni: dagli aspetti strutturali, a quelli della modellazione vera e
propria fino alla valutazione delle performances fisiche e sociali dell’edificio
e delle sue ricadute sulla comunità.
Alcuni critici[1]
hanno sottolineato come l’approccio di Ingels tocchi la sensibilità contemporanea
attraverso un tipo di attitudine meta-moderna, sembra oscillare cioè tra
posizioni moderniste e post-moderniste: ingenuità e impossibilità conoscitiva,
idealismo e pratica architettonica. Tutto ciò trova espressione nella
definizione che l’architetto dà al suo approccio alla progettazione come “pragmatismo utopistico” “…l’architettura
sembra oggi schierarsi su due fronti ugualmente sterili: l’uno ingenuamente
utopistico, l’altro rigidamente pragmatico. Anziché scegliere tra l’uno e
l’altro, BIG opera nella fertile intersezione tra i due, un architettura
pragmatico-utopistica che ha per obiettivo la creazione di luoghi perfetti dal
punto di vista sociale, economico e ambientale”.
Mountain Dwellings, Ørestad
Copenhagen (DK):
Oggi, secondo il
parere dell’architetto,in Scandinavia domina ancora il funzionalismo: ad
attività diverse cioè corrispondono necessità dissimili, separate perciò in
strutture realizzate su misura. È proprio questa loro diversità invece ad
aprire la possibilità verso una sorta di simbiosi
architettonica, in cui ciascuna struttura gravita intorno alla sua
collocazione ideale.
Quando venne proposto
allo studio di presentare un progetto per il sito di Ørestad che comprendesse
un condominio di circa 10000 m2 accanto ad un parcheggio di 20000 m2
anziché erigere un parcheggio accanto ad un blocco residenziale lo studio
trasformò la rimessa automobilistica in un podio per le abitazioni. La zona
residenziale del progetto venne così trasformata in una “montagna di case a schiera” con
i parcheggi ricavati nella pancia dell’edificio. Il parcheggio sale
verso l’alto in un sinuoso zig-zag da sud a nord e le abitazioni si spalmano
sopra in uno strato uniforme. Così gli appartamenti sono trasformati in case
con un ampio giardino e una bella vista.
Perché l’areazione del
parcheggio fosse il più naturale possibile la facciata è stata trattata con un
motivo traforato (6 dimensioni diverse di fori) che lascia circolare l’aria ma che
riesce ad isolare gli ambienti interni da pioggia e neve, componendo così un motivo
organico dall’interno e che dall’esterno riproduce un’immagine nitida dell’Himalaya.
DMAA Delugan & Meissl
Associated Architects
Delugan Meissl
Associated Architects è un studio austriaco di architettura con sede a Vienna.
Fondato nel 1993 dai coniugi Elke Delugan-Meissl e Roman Delugan è diventato
nel 2004 DMAA quando si sono aggiunti gli altri due soci Dietmar Feistel e
Martin Josst.
Gli ultimi quindici
anni di attività sono contraddistinti dalla grande profusione di progetti
realizzati, i più noti sono probabilmente: l’ampiamente pubblicizzata Casa Ray1
del 2003 a Vienna, il nuovo Museo Porsche di Stuttgart-Zuffenhausen del 2005 e
l'attuale edificio -EYE- per il museo
del cinema di Amsterdam.
La filosofia: "Aesthetics is nothing more than the
art of applied psychology", F. Nietzsche
L’architettura dei
DMAA è qualcosa che si avvicina moltissimo ad una forma di linguaggio, in cui il significato è generato, come in un
algoritmo, dal tipo di relazione che si instaura tra le singoli parti. A
differenza però di altre metodologie progettuali lo studio viennese non riduce
questo principio ad uno sterile esercizio ermetico tutto rivolto al formalismo
finale, ma piuttosto ad un prolifico gioco delle parti dove l’obiettivo è raggiungere
il maggior numero di relazioni polivalenti tra architettura dell’edificio e
ambiente circostante, con un occhio di riguardo verso il contesto dell’edificio
e la presenza fisica nello spazio dei suoi fruitori.
I loro rigorosi processi
di progettazione sono guidati dalla necessità di individuare in prima istanza
come i futuri utenti possono percepire lo spazio architettonico, così le
connessioni sia interne che con il tessuto esistente diventano il core del loro processo creativo
trasformando i loro edifici quasi in organismi ancestrali e come parti
integranti di un sistema globale.
In un ottica del
genere il rapporto che si genera tra interno ed esterno diventa fondamentale
per convalidare la loro impostazione: gli ambienti assumono una dimensione
fluida, liquida che ripudia il consueto ordine delle camere tradizionali,
trasformandosi in una sequenza spaziale funzionalmente definita. I volumi,
grandi masse materiche, affrontano direttamente l’osservatore attraverso la
loro scala imponente e il modo con cui reagiscono alla gravità e alla geometria
classica sembra la risposta dei progettisti a quella necessità di
inespressibilità che forse li investe.
Tra gli obiettivi
dello studio viennese c’è la volontà di rimettere in discussione le nozioni
dell'urbanistica classica che prevedevano composizioni assiali o una
sovrapposizione di elementi nella città. Oggi a parer loro si può cominciare a
lavorare su nuove basi. La città, nella loro ottica, è una realtà estremamente
dinamica, fatta di flussi, di movimento, e anche se l'architettura è
fondamentalmente statica la metropoli è un coacervo di vita, così si può
cominciare a immaginarla, a lavorare al suo disegno con tutto ciò che essa ha
di dinamico. Oggi è possibile riprodurre questi flussi, questi movimenti e tali
simulazioni potranno probabilmente contribuire all'immaginario degli architetti
nel loro rapporto con la dimensione urbana, nella sua gestione e nella
correlazione fra i diversi obiettivi che di volta in volta si pongono. (A tal
proposito lo studio ha sviluppato un nuovo software -Inspace- attraverso il quale è possibile avere un’esperienza
stereoscopica dell’oggetto architettonico in un ambiente virtuale).
Indipendentemente
dalle dimensioni dell’intervento o dalla sua funzione, il lavoro di Delugan-Meissl
è costantemente guidato da questo impalcato teorico e da tali principi di
design.
Lo studio DMAA è
impegnato a sviluppare quello che i soci definiscono “principio di
intensificazione”; delle metodologie, cioè, attraverso le quali è possibile
spazializzare e rendere fisicamente tangibile la dimensione psicologica
dell’architettura. La loro indagine si fonda quindi sulla ricerca
nell’architettura contemporanea di una alternativa alla consueta “forma rappresentativa” (representational form) orientata
principalmente al visivo e ad un’eventuale interpretazione del suo significato,
introducendo quella che chiamano invece “forma
attuale” (actual form) generata invece dagli effetti fisiologici che
produce nei sensi e nel corpo dell’utente finale.